I Docenti di tutte le scuole e, in particolare, i “Maestri” della scuola elementare, ora si chiama scuola primaria, lasciano sempre il segno nei processi di formazione del cittadino.
Anche in occasione dello svolgimento di un pubblico incarico al di fuori della comunità scolastica si può diventare “Maestro” impegnato in attività didattiche tali da lasciare una traccia indelebile sia nella formazione delle giovani generazioni e sia nella società.
Chi volesse proporsi a svolgere un incarico istituzionale nel pubblico interesse, e non per assecondare una propria ambizione o aspirazione personale, può trovare, in alcuni insegnamenti, delle indicazioni di alto valore etico, politico e sociale.
Senza scomodare le teorie facenti capo alle scienze pedagogiche e alle scienze politiche, ci sono due episodi che spiegano il significato e la portata dei “chiamati” nella dimensione dell’etica pubblica.
Il primo episodio si è verificato il 19 maggio 2006 quando il neo eletto Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appena insediato, decise di ricevere al Quirinale i bambini di una scuola elementare come primo atto del suo settennato.
Nel corso dell’incontro si presentò l’occasione per rendere di solare evidenza e per spiegare in modo chiaro e netto cosa sia e come si possa diventare un “chiamato” per l’espletamento di un incarico istituzionale.
Quel giorno il Presidente Napolitano dialogò con i bambini in un clima festoso e gioviale. Un bambino gli chiese se avesse mai sognato da piccolo di fare il Presidente della Repubblica. “Addirittura, quando avevo la vostra età c’era la monarchia” – rispose Napolitano – “quindi non potevo sognare di fare il Re, tantomeno il Presidente della Repubblica”.
“In ogni caso – aggiunse – non si tratta di cose che qualcuno può sognare di poter fare. Può capitare di essere chiamati a questa responsabilità impegnativa e pesante. Si può sognare, invece, di diventare un bravo pittore, un grande musicista, un bravo professionista, ma non un Presidente della Repubblica. Non ci si può proporre di diventarlo: si è chiamati a farlo”.
A conclusione dell’incontro regalò ad ogni bambino una copia della Costituzione dicendo loro che in questo testo c’è scritto come è e come dovrebbe essere l’Italia.
Domande e risposte consentirono lo svolgimento di un dialogo educativo foriero di tantissimi significati e, sotto molteplici aspetti, quell’incontro è memorabile perché è una lezione di “etica pubblica” e di storia, è un esempio di didattica di grandissimo significato morale, civile e politico, è una dimostrazione di cosa dovrebbe fare un “Maestro” a scuola per la preparazione del cittadino, è una indicazione precisa sulle qualità e sulle aspirazioni personali di chiunque volesse pretendere di proporsi a svolgere un ruolo pubblico nell’interesse generale della comunità nazionale di un Paese.
Il secondo episodio è sotto i nostri occhi in questo novembre del 2011. Riguarda il Governo dei “chiamati” che è la caratteristica dell’Esecutivo affidato alla guida del sen. Mario Monti. Ovviamente non sono i “chiamati” nel significato evangelico, biblico, o religioso. ma nel significato più squisitamente laico e politico. Infatti è stato il Parlamento, espressione degli eletti dal Popolo sovrano, che ha attribuito, con la fiducia, l’investitura di natura politica al Governo. Sulla base di siffatti presupposti, parlare di Governo tecnico è del tutto fuori luogo.
In buona sostanza, si è concretizzata una eccezionale situazione in cui al Governo del Paese è stata preposta una squadra di Persone “chiamate” a svolgere un compito che solitamente è affidato a dirigenti selezionati nell’ambito della “carriera” politica. Una carriera, quest’ultima, che è caratterizzata dalla capacità dei singoli (e dei gruppi) di proporsi allo svolgimento di pubbliche funzioni.
Caratteristica dei chiamati non è il loro desiderio personale (e di gruppo) di occupare un alto incarico pubblico, bensì il desiderio (la volontà) di altri, dotati del potere di scelta, di stabilire requisiti oggettivi, e non aspirazioni personali, necessari per lo svolgimento di una pubblica funzione.
L’accesso ad una pubblica funzione diventa, attraverso la procedura di nomina del chiamato, un accesso sottoposto a valutazioni di convenienza e di opportunità che trascendono le aspirazioni personali del nominando, tecnico o politico che sia.
Antonio Pileggi
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