Scuola, saperi educazioni
di Luciano Corradini
La scuola può essere intesa, vissuta e analizzata, come edificio più o meno accogliente e funzionale, come istituzione più o meno efficiente e autorevole, come servizio sociale più o meno apprezzato, come organizzazione più o meno bene disegnata e gestita, e infine come comunità educativa. Nella massa casuale, nello Stato come impersonale apparato di norme o addirittura nel carcere o nell’ospedale, di solito non ci si sente identificati o appartenenti; nella comunità scolastica questo è possibile, a certe condizioni, che andrebbero esplorate e possibilmente favorite.
Modelli e fini della scuola
La scuola moderna ha assunto, negli ultimi due secoli, il carattere di istituzione burocratica (non necessariamente nell’accezione peggiore), per l’omogeneità formale delle sue procedure, per la validità dei titoli che rilascia, per i controlli che impone, per le strutture operative che utilizza: strutture costituite da insegnanti specializzati e selezionati dallo Stato, alunni divisi per classi e ospitati in aule, contenuti d’insegnamento graduati e scelti entro certi limiti dal Ministero, orari prestabiliti, lezioni, interrogazioni, compiti in classe, compiti a casa, scrutini e/o esami finali. Questo modello ha una sua semplicità organizzativa, anche se presenta molti inconvenienti sul piano pedagogico e didattico. Benché le norme relative alla scuola, a partire dagli anni ’70, abbiano autorizzato e talora favorito innovazioni sul piano dei contenuti, dei metodi, delle modalità organizzative, attraverso la partecipazione, la sperimentazione, l’autonomia scolastica, le nuove tecnologie, lo schema di fondo resiste.
Si può dire che si siano imposti, nello scorso mezzo secolo, tre modelli di scuola: quello centralistico-burocratico, quello partecipativo-democratico e infine quello autonomistico-manageriale. Il tentativo che fanno oggi molte persone di buona volontà è quello d’innovare senza rinunciare alle conquiste precedenti: ossia a un certo grado di uniformità dei contenuti e delle procedure di valutazione, ad una sia pur debole partecipazione dei soggetti interessati alla scuola, per garantirle consenso e linfa vitale, e all’agilità gestionale e alla responsabilità che sono tipiche del mondo aziendale.
Alcuni pensano che questo schema sia ormai “fuori mercato”, ossia non più capace di garantire la sopravvivenza della scuola, dati i profondi mutamenti sociali e culturali del mondo contemporaneo; altri, pur vedendone i limiti e i rischi, ritengono che non sia il caso di pensare a “descolarizzare” la società, se si può ancora far qualcosa per “socializzare la scuola”, ossia per rendere questa istituzione più abitabile e più efficace, in riferimento alle finalità generali proposte dalla Costituzione italiana del 1947. Questi fini, richiamati anche dalla normativa più recente (si pensi al dpr 275/1999 sull’autonomia scolastica e al dpr 235/2007 sullo statuto delle studentesse e degli studenti), riguardano l’istruzione, l’educazione, la formazione.
E’ vero che la società è come un mare agitato da venti contrapposti e che il sapere diviene sempre più complesso, la costellazione dei valori sempre meno visibile, l’approdo alla vita professionale dei giovani sempre più problematico. E’ vero anche che non mancano insegnanti e studenti a dir poco afflitti da demotivazione e da “mal di mare”. Tuttavia sembra più utile riparare la nave-scuola, prima di abbandonarla, se come alternativa si può contare solo su precarie scialuppe e su un limitato numero di salvagente.
Ricordo una frase scritta dai ragazzi di Agrigento, in occasione del Progetto Giovani 1993: “Non abbiamo strutture: usiamo la testa!”.
Nelle aule e durante le ore scolastiche, accanto al buon grano di un apprendimento valido e gratificante crescono anche le erbacce della noia, della superficialità, del non senso. Per quanto taluni, per semplificarsi il compito, cerchino di ridurre le scuole ad “apprenditoi” e a “esamifici”, i problemi personali e sociali non cessano di riproporre, nel bene e nel male, la problematica educativa, in tutta l’ampiezza delle sue dimensioni e dei suoi ambiti. Il bisogno di verità, di bellezza, di pulizia, di competenza civica, prima o poi viene fuori anche nella scuola, quando si insegnano e si studiano “le materie” e quando si parla fra amici, quando si legge un giornale, si guarda la TV, si naviga in internet.
In sede teorica si dibatte fra i sostenitori dell’istruzione, o dei saperi e i sostenitori delle educazioni: queste si sono fatte strada nella scuola, in virtù di leggi e di circolari ministeriali che hanno spostato l’attenzione volta a volta sui diritti umani, sulla salute, sulla sessualità, sull’intercultura, sulla legalità, sulla circolazione stradale, sulla cittadinanza, fino alla prevenzione della ludopatia, che appare oggi come una nuova droga. In astratto, e senza impegnarsi in questioni architettoniche troppo complicate, si capisce che non può esserci vera alternativa fra saperi e educazioni, perché, come abbiamo ricordato, la scuola ha il compito di istruire, educare e formare. Queste funzioni si svolgono non solo “imparando le materie”, ma anche svolgendo attività tali che facciano crescere studenti e docenti, come quell’erba che cresce fra un mattone e l’altro o trasversalmente sui diversi mattoni, come fanno le piante rampicanti. Occupiamoci ora prima dei mattoni, poi dell’erba.
Discipline scolastiche, itinerari formativi, valori e competenze
Le discipline, presenti nella scuola come materie d’insegnamento e apprendimento, elencate secondo un tradizionale ordine d’importanza nelle pagelle, concorrono alla trasmissione-elaborazione dei “saperi” delle nuove generazioni, che attingono anche ad altre fonti di conoscenza e di esperienza. Separati più o meno artificiosamente nelle singole discipline, ma di fatto interconnessi, questi saperi diventano formativi se vengono non semplicemente sommati, ma integrati, elaborati, assimilati, in termini culturali, personali, esistenziali, ossia se diventano sapere e, più profondante, sapienza.
Diciamo educazione scolastica il processo dialogico attraverso il quale si realizza l’elaborazione personale delle discipline e dei saperi, ossia la trasformazione dei dati, delle informazioni, delle conoscenze, delle esperienze, dei valori che le caratterizzano, in nutrimento di personalità consapevoli, responsabili, capaci di affrontare al meglio le problematiche personali, civiche e professionali della vita.
Fra l’informazione, l’istruzione, l’erudizione, la conoscenza, la scienza, la competenza e la sapienza c’è un difficile percorso che, da Platone ad Agostino a Dante a Rousseau a Delors, si può chiamare “viaggio interiore”: in termini scolastici questo è il curricolo, ossia quel processo in parte programmato e verificato d’insegnamento e apprendimento che conduce verso il traguardo del “successo formativo”. Questo successo solo riduttivamente si può identificare col punteggio ottenuto nei test finali e col titolo di studio. In effetti accanto al curricolo formale, c’è un curricolo nascosto, che non è meno importante per dare vita e forza al primo. Questo secondo curricolo è come un albero che affonda le radici nel buon terreno dei “mondi vitali” (famiglia, chiesa, gruppi giovanili, culturali, sportivi o di volontariato…), ma che può anche intercettare il terreno inquinato della criminalità e del vizio: sicché per certi aspetti il curricolo nascosto, e cioè non formale e non scolastico, è formativo, per altri deformativo.
Questo viaggio interiore che è simbolico ma anche esistenziale e reale, non è un’allegra passeggiata, perché i “luoghi” che si debbono attraversare, da quelli esteriori a quelli interiori, presentano oscurità e alternative in cui è facile smarrirsi. Da Abramo a Ulisse, dalla caverna platonica alla selva dantesca, la situazione di partenza è dura e quella di arrivo incerta.
Tutte le risorse interiori sono chiamate in causa: l’itinerario del sapere ha forti implicazioni religiose, vocazionali, etiche, che non tutti riescono a riconoscere e a mobilitare: il sapere, più che una facile scoperta, è una dura conquista, per la quale, come insegna una tradizione millenaria, occorrono aiuti che vengano dall’alto, o almeno da maestri saggi e sapienti come Virgilio, il “savio gentil che tutto seppe”.
Il quale solo al termine di un itinerario che è stato insieme conoscitivo e spirituale ha potuto dare a Dante la duplice laurea della piena maturità umana: “Non aspettar mio dir più, né mio cenno: libero, dritto e sano è tuo arbitrio, e fallo fòra non fare a suo senno: perch’io te sovra te corono e mìtrio”(Purg., 139-142). In sostanza: ormai sei cresciuto in conoscenza e in responsabilità, sei padrone (papa e re) di te stesso: sbaglieresti a non seguire la tua coscienza. Lo squallore e il degrado di certa attuale vita di scuola non deve indurci a dimenticare questo archetipo aristocratico, ascetico ed eroico della crescita culturale, che consente finalmente un uso etico della libertà, frutto del dialogo educativo. Al vertice degli studi non c’è solo un buon mestiere ben pagato (condizioni che non dipendono esclusivamente da noi), ma c’è anche autonomia personale, da esercitarsi con “senno” .
Si tratta, in Omero e in Dante, di una rappresentazione ben più forte e drammatica della contemporanea “navigazione su internet”, facilitata da uno dei “motori di ricerca”, che ha preso il nome dell’antico poeta latino (appunto virgilio.it). Eppure anche nella navigazione nel cyberspazio si pongono problemi non dissimili da quelli allegorizzati nell’Odissea omerica, nell’Eneide virgiliana e nella Commedia dantesca.
Il richiamo all’immaginario presente in quelle “grandi narrazioni” che sono all’origine della nostra civiltà e che hanno fornito a molte generazioni punti di riferimento ideali e simbolici, ci dice per esempio che cosa stiamo perdendo e dove dobbiamo ricostruire, per non restare impigliati nella selva della complessità disorientante del nostro tempo.
Certo, il sapere nella società secolarizzata, tecnologica e globalizzata è anche una risorsa utile alla produzione e al consumo: una risorsa che si può anche comprare e vendere, con maggiore o minore fatica, se si è motivati e capaci di entrare nel grande circuito della competizione per conquistare i posti più pregiati nel mondo delle professioni.
Si possono però imparare le scienze e le tecniche senza crescere in umanità. Non smarrire, nel turbinio delle avventure, la nostalgia di Itaca e il dovere di fondare Roma, comporta qualcosa di più dei linguaggi e delle tecniche: fra l’altro comporta strumenti critici e morali atti a tenere sotto controllo per quanto possibile, nell’imprevedibilità degli eventi, l’ideologia, l’odio, la violenza e la sete di potere. Si confrontano ancora il sapere a pagamento dei sofisti, per fare carriera, e quello gratuito di Socrate, per diventare migliori. L’Occidente si regge sull’uno e sull’altro. Senza etica, anche gli affari prima o poi crollano: e se anche non crollassero, quelli non sarebbero veri affari.
D’altra parte è difficile pensare che si diventi eroi e santi, o vigliacchi e criminali solo in virtù dei programmi d’insegnamento e della saggezza o dell’ignavia dei propri maestri. Alessandro fu discepolo di Aristotele, Giuda Iscariota di Gesù e Nerone di Seneca. Ma talora si cresce anche liberandosi del peso dei propri padri e dei propri maestri: per Aristotele, amicus Plato, magis amica veritas.
Un curricolo equilibrato per una proposta educativa aggiornata
Se non esistono ingredienti capaci di per sé di “produrre” personalità colte, sagge e mature, non si può negare, non foss’altro a partire dalla propria personale esperienza, che la qualità degli apprendimenti scolastici, lo spirito e la testimonianza con cui questi vengono proposti, abbiano qualche influenza nella costruzione degli atteggiamenti e di comportamenti giovanili. E non si può dire che tutto ciò che serve a crescere si trovi solo nell’ambito delle discipline e di coloro che le professano.
Qualità, spirito e testimonianza hanno a che fare con i valori: i quali non sono pillole che facciano crescere i muscoli dell’intelligenza e della volontà, ma deboli luci che orientano la navigazione, voci non sempre gradevoli, come quella del collodiano Grillo parlante che, nonostante la sua saggezza, finì “stecchito e appiccicato alla parete.” E tuttavia Collodi, alla fine della storia, lo fa risorgere come voce orientante e illuminante, in un Pinocchio trasformato in uomo.
Nell’era dell’accesso alle reti, delle neuroscienze, del cognitivismo, possiamo ancora parlare di personalità morale, di affetti, di volontà, di responsabilità?
Mi limito, a questo proposito, a citare Howard Gardner, una delle voci più intonate della contemporanea ricerca sull’intelligenza umana e sul ruolo dell’educazione e della scuola: “In un momento come questo, contrassegnato dalla rapidità dei cambiamenti e dal venir meno di ogni distinzione netta ed evidente tra “buoni” e “cattivi”, inoltre, è diventata più frenetica la ricerca di modelli di umanità. Questa fame ha alimentato gli sforzi di molti per una definizione più ampia di intelligenza.
“Tradizionalmente per ”intelligenza” si intendeva “attitudine alle materie scolastiche e all’acquisizione delle abilità insegnate scuola”. Coloro che aspirano a far valere una visione più ampia dell’intelligenza – e che quindi parlano di intelligenza personale, di intelligenza emozionale, di intelligenza morale e di saggezza – sostengono concordemente che non si può ridurre l’intelligenza alla facilità di apprendere certe discipline di base e di risolvere certi tipi di problemi. Non basta che le persone siano in grado di analizzare; occorre anche che operino con giustizia. Non basta che sappiano pensare o siano creative; occorre che siano ammirevoli anche come esseri umani. Personalmente sottoscrivo il motto di Emerson: “Il carattere è più importante dell’ intelligenza” (H.Gardner, Sapere per comprendere, tr.it., Feltrinelli, Milano 1999, p.264).
Il che pone problemi di notevole difficoltà, perché essere giusto non è come saper calcolare il volume della sfera o recitare una poesia. Essere ammirevole non significa solo vincere un concorso di bellezza o avere la moto più grossa. Il carattere non si può costruire e misurare come la velocità nella corsa o la rapidità nella risoluzione di un problema. Non per questo si può rimuovere o non considerare tutto ciò che non è conoscibile e sviluppabile con evidenza matematica. Molti delinquenti sono maestri nell’uso della matematica e del diritto. L’educazione si occupa, sia pure nel rispetto della libertà delle persone, non solo del possesso di certe conoscenze e di certe tecniche, ma anche dell’uso che se ne fa. Ed è a questo proposito che si parla in senso pieno di competenze, intendendo conoscenza, abilità tecnica e responsabilità sociale.
Intanto teniamo fermo un principio: occuparsi di educazione della personalità nella scuola non è impossibile, arbitrario, illegittimo. La ricerca sarà lunga ed esposta ad approssimazioni e forse ad errori. Ma non è giusto attendere d’aver risolto tutti i problemi ideologici, epistemologici e metodologici per cominciare a programmare e a valutare tenendo conto, per quanto possibile, e con tutta la prudenza e la discrezione necessarie, ma senza rimozioni o censure, dei risvolti affettivi, relazionali, etici e comportamentali della personalità dei ragazzi, offrendo loro stimoli, aiuto e spazi di cittadinanza attiva. Il che chiama in causa la questione dei valori, su cui non si può non soffermarsi.
Ho sott’occhio due saggi, uno di Luigi Zoja, dal titolo La morte del prossimo, Einaudi, Torino, 2009, l’altro del CENSIS, presentato dal suo segretario generale Giuseppe De Rita, dal titolo I valori degli italiani. Dall’individualismo alla riscoperta delle relazioni, CENSIS, Marsilio, Venezia 2012.
L’approccio del primo è psicanalitico, quello del secondo sociologico. Zoja vede nell’uomo metropolitano un individuo non più connesso con i vicini, ma con i lontani: si parla col cellulare o col computer, ma si diventa sempre più indifferenti ed estranei nei confronti dei vicini, che perdono di consistenza.
De Rita, a conclusione di un’ampia indagine sociologica, rileva che la prossimità non è scomparsa: il 43,4% definisce il suo vicinato una comunità in cui tutti si conoscono, si frequentano e, se necessario, si aiutano. Il 26% degli italiani (poco più di 13 milioni) svolge attività di volontariato. Mi limito a questi cenni per notare che, secondo De Rita, si vanno lentamente avvicinando l’élite che è stata protagonista di gran parte della storia patria, dal Risorgimento al fascismo, e il popolo, che è stato invece protagonista della lunga corsa al benessere della fase democratica. La cronaca presenta in proposito testimonianze contrastanti. Da un lato tende a dilatarsi la “forbice” che esiste da secoli fra il popolo e le istituzioni, con particolare riferimento alla classe politica e alle “caste” di privilegiati; dall’altro si scorge un tessuto nuovo, che si viene formando sottola crosta della corruzione, del carrierismo e della violenza. A scuola la perdita di prestigio e di autorità di insegnanti e dirigenti, il bullismo, la volgarità non dilagano ovunque. C’è anche una buona scuola, diffusa più di quanto lasci intendere la cronaca giornalistica.
C’è da chiedersi se la scuola sia vissuta anche, almeno in parte, come comunità educativa, in cui si sviluppino sentimenti e riflessioni di empatia, di rispetto, appartenenza e di partecipazione. Tutto questo consente di produrre e di conservare, in vista del difficile futuro verso il quale stiamo andando, uno spirito di amicizia e di fiducia reciproca fra ex alunni, che costruiscano un prezioso “capitale sociale”. Occorre insomma un’alternativa sia alla solitudine di individui isolati o superficialmente collegati con facebook, sia alle reti del malaffare.
Chiediamoci adesso se ci sono punti di riferimento, documenti, norme che aiutino a connettere i vissuti di oggi con i valori di verità, di giustizia, di merito, di solidarietà, senza i quali è difficile orientarsi e superare le fatiche e le frustrazioni che accompagnano la nostra vita, in famiglia, a scuola, nelle associazioni e nella vita sociale e politica. La mia risposta è che questi strumenti ci sono e sono utili, se si impara a utilizzarli, come si farebbe con la bussola e con le carte nautiche.
Una luce orientante per la vita scolastica e per la vita sociale
Il tema dell’educazione sociale e civica, ai diritti umani e alla cittadinanza, è molto sentito a livello internazionale, come dimostra una copiosa produzione di documenti delle Nazioni Unite, dell’UNESCO, dell’OMS, del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea. Il Consiglio d’Europa ha avviato importanti progetti di educazione alla cittadinanza democratica; il Parlamento e il Consiglio dell’Unione europea hanno prodotto, nel 2006, un’autorevole Raccomandazione sulle competenze chiave per la cittadinanza europea. L’Italia ha dedicato al tema una recente legge dello Stato (l.30.10.2008, n. 169), che nel 1° articolo impegna la scuola ad assicurare, “nel primo e nel secondo ciclo, l’acquisizione delle conoscenze e competenze relative a Cittadinanza e Costituzione, nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse”.
In sostanza la legge indica nella Costituzione un patrimonio di conoscenze necessarie per acquisire le indispensabili competenze di cittadinanza, che comprendono oggi gli ambiti locale, regionale, nazionale, europeo e mondiale. Per “navigare” in questi ambiti occorrono conoscenze e competenze molteplici, che trovano nella Costituzione una “bussola” efficace.
La CM 86/2010 precisa che “l’insegnamento/apprendimento di Cittadinanza e Costituzione è un obiettivo irrinunciabile di tutte le scuole”, e che “è un insegnamento con propri contenuti, che devono trovare un tempo dedicato per essere conosciuti e gradualmente approfonditi”: tale insegnamento implica sia una dimensione integrata alle discipline dell’area storico-geografico-sociale, con ovvie connessioni con filosofia, diritto, economia, sia una dimensione trasversale, che riguarda tutte le discipline.
Questa scelta corrisponde a quanto richiesto dalle Indicazioni nazionali (dpr 15.3.2010 n.89), riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento. Nella premessa ai programmi di storia dei nuovi Licei si dice che “uno spazio adeguato dovrà essere riservato al tema della cittadinanza e della Costituzione repubblicana, in modo che, al termine del quinquennio liceale, lo studente conosca bene i fondamenti del nostro ordinamento costituzionale, quali esplicitazioni valoriali delle esperienze storicamente rilevanti del nostro popolo, anche in rapporto e confronto con alcuni documenti fondamentali (solo per citare qualche esempio, dalla Magna Charta libertatum alla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino alla Dichiarazione universale dei diritti umani)”.
Espressioni simili sono utilizzate dalle Indicazioni nazionali relative agli Istituti tecnici e professionali (dpr 15. 3. 2010, nn. 87 e 88).
Nonostante queste impegnative affermazioni le ore a disposizione per l’area storico-geografica, storico-sociale, storico-filosofica e giuridico-economica, dove esiste, non sono aumentate come la commissione ministeriale che ho presieduto aveva proposto: anzi, i decisori non hanno nemmeno citato “cittadinanza e Costituzione” accanto alla storia, che, dal 1958, era affidata a un insegnamento dal titolo “storia e educazione civica”.
Un decennio dopo la legge 30 10 2008 n.169, il Parlamento ha varato la legge 20 8 2019 n.92, dal titolo Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica.
Alcuni strumenti didattici
Una messa a punto di questa problematica, ampliata dall’ultima legge e delle prospettive per affrontarla validamente all’interno delle immutate ristrettezze di orario e di risorse finanziarie abbiamo tentato nel libro L.Corradini (a cura di) Cittadinanza e Costituzione. Disciplinarità e trasversalità alla prova della sperimentazione nazionale Una guida teorico-pratica per docenti, Tecnodid, Napoli, 2009. Si esaminano quasi tutte le discipline scolastiche, dal punto di vista della didattica interdisciplinare e trasversale, in funzione delle competenze sociali e civiche.
Col collega Andrea Porcarelli, che ha fatto parte della citata commissione ministeriale, abbiamo cercato di rivolgerci anche agli studenti del secondo ciclo, con un libro il più possibile chiaro, sintetico e colloquiale, per offrire loro uno strumento utile ad orientarsi nella vita e nella cultura contemporanea e a costruire la loro identità personale e civile, in un tempo di oscuramento degli ideali e di sfiducia nella scuola e nella politica. Le nozioni sono presentate in un contesto di senso che ne consenta la comprensione e la discussione, in dialogo con tutte le discipline scolastiche.
Il libro, che ha per titolo Nella nostra società. Cittadinanza e Costituzione, SEI, Torino 2012, propone ai giovani una sorta di visita guidata alla “galleria” dei 139 articoli della Costituzione, per coglierne le implicazioni di carattere storico, etico, giuridico, politico, in modo da facilitare in loro la scoperta e la valorizzazione del “tesoro” che i “padri costituenti” hanno costruito intorno alla metà del secolo scorso.
Il primo capitolo inizia il dialogo con i lettori esplorando per così dire dall’alto lo scenario storico in cui sono maturati i diritti di cittadinanza, a partire dall’età antica. Nei successivi si presentano e si commentano i nodi fondamentali del testo costituzionale. Il libro intende valorizzare ciò che di vivo e di essenziale gli studenti possono incontrare nel corso dell’adolescenza e nell’itinerario formativo della scuola secondaria superiore, fornendo loro criteri di lettura della realtà, e indicando prospettive d’impegno di cittadinanza attiva.
I glossari hanno il compito di accompagnare lo studente, offrendogli nel corso della lettura definizioni e spiegazioni dei termini più tecnici o più difficili. I laboratori consentono di “fare il punto” sui temi trattati al termine di ogni capitolo e si strutturano in due tipologie di esercizi: esercizi a schema chiuso, per verificare alcune delle conoscenze fondamentali, ed esercizi a schema aperto, collaborativi e creativi, per consentire di mettere in atto, nei contesti concreti delle diverse classi, le proprie competenze culturali in ordine alla cittadinanza e in rapporto alla Costituzione. In riferimento alla nuova legge 92/2019, si è rielaborata una nuova edizione di questo libro, sempre con la SEI, che reca il titolo Una convivenza civile Itinerari di educazione civica. Il libro assume come assi portanti, oltre alla Costituzione italiana, la Dichiarazione generale dei diritti umani e l’Agenda ONU 2030.
E’ parallelamente uscito il volume Educazione alla cittadinanza e insegnamento della Costituzione, a cura di chi scrive e di Giuseppe Mari, Vita e Pensiero, Milano 2019
Il testo è organizzato in tre ampie sezioni: la prima riguarda i lineamenti fondativi dell’educazione alla cittadinanza e dell’insegnamento della Costituzione; la seconda è dedicata alla progettazione scolastica e ad una puntuale esemplificazione didattica, proposta da noti presidi e insegnanti ricercatori, in riferimento alle rispettive scuole; la terza infine illustra il resoconto della sperimentazione biennale condotta in merito da cinque scuole della Val Camonica.
In un momento storico nel quale il Parlamento ha varato, in poco più di due mesi, dopo anni d’incertezze e di rinvii, la citata legge che (re)introduce l’educazione civica nella scuola (votata all’unanimità dalla Camera e al Senato con maggioranze “bulgare”) e il MIUR ha timidamente introdotto la tematica relativa a Cittadinanza e Costituzione nei recenti esami di maturità, questo libro offre alla scuola e alla società una vasta gamma di strumenti e di idee orientative, immediatamente spendibili in classe, come matrici per la progettazione di educazione alla cittadinanza, di insegnamento della Costituzione, con sussidi e repertori per la programmazione e la valutazione delle competenze e unità di apprendimento.
Le sperimentazioni riportate sono esposte ed esaminate con ricchezza di particolari e insieme con chiarezza espositiva, tali da poter suscitare nei lettori, in primis nei docenti, il desiderio di mettersi alla prova.
*Luciano Corradini, professore emerito di Pedagogia generale nell’Università di Roma Tre (www.lucianocorradini.it)
ABSTRACT
L’articolo prende in considerazione la scuola come si potrebbe farlo con una helicopter overview: non considera soltanto le strutture fisiche, ma anche gli aspetti giuridici, culturali, pedagogici di una istituzione che sembra lacerata da visioni contrapposte e destinata a perdere senso ed efficacia formativa. Si nota invece la possibilità di mediare fra queste visioni e di ricuperare senso e prospettive di futuro, restando saldamente ancorati al disegno della nostra Costituzione, che ha consentito di superare la concezione ideologica e totalitaria della scuola, senza cadere in una visione funzionalistica e pessimistica circa la possibilità di identificare valori comuni, in vista di una convivenza operativa tra soggetti, modelli e metodologie differenti.