Libertà, cesarismo e costituzione nel solco tracciato da Benjamin Constant

Scrittore e politico famoso, Benjamin Constant appartiene al Pantheon del pensiero liberale. Ha scritto molte opere ed ha svolto attività politiche da liberale molto autorevole.

La sua esperienza politica si è svolta in un’epoca di grande fermento culturale e politico. Un fermento culturale e politico generato e diffuso dalle due rivoluzioni, quella americana e quella francese.

Il suo discorso del 1819, svolto all’Athénée royal di Parigi sulla libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni, è una pietra miliare del tema della libertà.

Della libertà intesa come diritti di libertà del singolo individuo e della libertà intesa come diritto di partecipazione alle decisioni politiche.

Sono due aspetti di grande attualità a distanza di due secoli dal discorso, che è continuamente oggetto di attenzione e di studio.

La libertà degli antichi

La libertà degli antichi viene ampiamente esaminata e criticata da Constant per la parte in cui era indirizzata alla partecipazione politica, anche in plebisciti e nella pubblica piazza (l’Agorà), mentre veniva assolutamente trascurato il profilo della libertà individuale del cittadino.

Dappertutto, Sparta e Atene comprese, la libertà individuale restava sottoposta ai voleri collettivi. D’altronde, nell’antichità, per quanto importanti fossero le forme di partecipazione democratica, avevano un peso preponderante, in danno dei diritti individuali, le egemonie di natura religiosa e le variegate oligarchie.

In proposito, Constant ci ricorda come nell’antichità c’era “l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme” … “Tutte le azioni private sono sottoposte a severa sorveglianza. Nulla è concesso all’indipendenza individuale rispetto alle opinioni, né riguardo alle occupazioni, né soprattutto rispetto alla religione. La facoltà di scegliere il proprio culto, facoltà che noi consideriamo uno dei nostri diritti più preziosi, sarebbe sembrata agli occhi degli antichi un crimine e un sacrilegio. Anche nelle cose che a noi sembrano più futili, l’autorità del corpo sociale s’interpone e condiziona la volontà degli individui. Terpandro presso gli spartani non può aggiungere una corda alla sua lira senza che gli efori si offendano.[1]

La libertà dei moderni

Constant analizza i contenuti delle due differenti tipologie della libertà e pone al centro delle sue riflessioni e delle sue indicazioni i diritti di libertà dell’individuo, diritti che sono la cartina al tornasole del grado di libertà dei cittadini.

“Per prima cosa domandatevi, Signori, che cosa ai giorni nostri un Inglese, un Francese, un cittadino degli Stati uniti d’America, intendono con la parola libertà.

Per ciascuno di questi la libertà è il diritto di essere sottoposti soltanto alla legge, il diritto di non essere arrestati, detenuti, condannati a morte, maltrattati in alcun modo, per effetto della volontà arbitraria di uno o più individui. È il diritto di esprimere il proprio pensiero, di scegliere la propria occupazione ed esercitarla;”

Il diritto di disporre dei propri beni, di abusarne addirittura; il diritto di andare e venire senza bisogno di ottenere il permesso, e senza dover rendere conto dei propri motivi o dei propri affari. È, per ciascuno, il diritto di riunirsi con altri individui, sia per discutere riguardo ai propri interessi, sia per professare il culto che costui e i suoi compagni preferiscono, sia semplicemente per occupare il proprio tempo nella maniera più conforme alle personali inclinazioni e fantasie. Infine, è il diritto che ciascuno ha di influire sull’amministrazione del governo, sia nominando per intero o in parte certi funzionari, sia attraverso rappresentanze, petizioni, domande, che l’autorità è più o meno tenuta a prendere in considerazione. Raffrontate adesso tale libertà con quella degli antichi.[2]

Tre epoche storiche

La semplice lettura di questa parte del discorso di Constant, ci induce a considerare tre epoche successive estremamente significative: 1) i diritti-doveri enucleati da Constant nel 1819, quando ancora non c’era l’Italia come nazione unita, li troviamo in piccola parte nello Statuto concesso (octroyé) da Carlo Alberto il 4 Marzo 1848; 2)siffatti diritti sono stati assenti o sistematicamente violati durante la dittatura fascista, seppure fosse vigente lo Statuto Albertino; 3) tutti i diritti di libertà enucleati da Constant, e di più, li ritroviamo organicamente e sapientemente compresi nella Costituzione italiana entrata in vigore il primo gennaio 1948.

Breve annotazione: la Costituzione non è stata concessa da un sovrano investito di potere divino ed è opera di un’Assemblea costituente eletta col suffragio universale.

Per la prima volta hanno votato e sono state elette anche le donne. Il sistema elettorale era il proporzionale puro, cioè un sistema senza i “trucchi” delle leggi elettorali illiberali e finanche incostituzionali che abbiamo visto nella scena politica di questi ultimi anni del terzo millennio.

L’osservazione sulle leggi elettorali dei nostri tempi ci porta a considerare due tipi di problemi fra loro intrecciati. Il primo attiene alla partecipazione democratica. Il secondo alla questione della rappresentatività.

Senza entrare nel merito sul perché e sul percome in Italia in questi anni vadano a votare meno della metà degli aventi diritto, alla faccia della partecipazione politica di cui parla Constant, c’è da aggiungere che esiste, nei tempi recenti, la ineffabile scuola di pensiero secondo cui occorre “regalare” alla più forte minoranza un numero di seggi in Parlamento in modo da farla diventare maggioranza fittizia del 55%.

Ciò in ragione della “scuola di pensiero” secondo cui sarebbe necessario garantire la così detta governabilità, altrimenti definita “decisionismo” oppure “democrazia decidente”.

Sta di fatto che questi marchingegni elettorali, storicamente definiti “legge truffa” durante i primi anni dell’entrata in vigore della Costituzione del 1948, pretendono di semplificare l’azione politica con l’attribuzione del potere del “comando” in capo a chi conquisti i palazzi del potere ancorché in minoranza rispetto agli aventi diritto al voto.

Una semplificazione che è una scorciatoia per evitare la naturale complessità dell’attività politica il cui buon andamento è necessariamente caratterizzato dal pensiero politico e dalla conseguente azione politica.

Non si può non sottolineare che pensiero politico e azione politica hanno il nobile scopo di ricondurre a sintesi gli interessi contrapposti e a tutelare adeguatamente, col metodo democratico, gli interessi generali e la buona convivenza nel Paese.

La semplificazione dei premi di maggioranza alla più nutrita minoranza, tra l’altro, tradisce il principio “una testa un voto” che pure sta scritto nella Carta costituzionale.

Cesarismo e sovranità

Il metodo comparativo usato da Constant per spiegare le due differenti libertà, ci consente di approfondire la conoscenza della natura e del contenuto delle idee sulla libertà nelle varie epoche storiche. E, soprattutto, ci consente di considerare, a distanza di due secoli dal suo discorso, l’attualità dei bisogni di libertà a livello individuale e a livello politico.

Le molteplici riflessioni di Constant, che era anche un costituzionalista, sono preziose. Per fare un solo esempio, basta ricordare la sua avversione al cesarismo, che è uno degli elementi caratterizzanti le sue idee politiche.

Giova ricordare che tutte le questioni sul cesarismo hanno a che fare con le idee sulla sovranità. Constant ha affrontato questa questione in altri suoi scritti. In proposito ricordo la nota sulla sovranità del popolo e i suoi limiti [3] che parla di Napoleone:

“Bonaparte, che aveva sempre riconosciuto la sovranità del popolo in via di principio, l’aveva spesso adoperata per giustificare l’eccessivo potere di cui si era impadronito, e che egli presentava come se gli fosse stato delegato dal popolo stesso. Bisognava, dunque, attaccare tale teoria per rendere inoffensiva, nelle mani di un uomo che ne aveva abusato, quest’arma pericolosa.” … “In una società fondata sulla sovranità del popolo è certo che nessun individuo o classe può sottomettere gli altri alla propria volontà particolare, ma è falso che la società nella sua interezza disponga nei confronti dei suoi membri di una sovranità senza limiti.” … “La sovranità non esiste che in una forma limitata e relativa, e dove inizia l’indipendenza dell’esistenza individuale, lì si arresta la giurisdizione di tale sovranità.”

Questi argomenti sono estremamente significativi se si pensa che il secondo comma dell’art. 1 della Costituzione italiana così recita: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

I nostri Padri e Madri costituenti hanno ben definito la sovranità, che non “emana” dal popolo, ma “appartiene” al popolo. Hanno avuto la lungimiranza di stabilire in modo preciso i limiti alla sovranità sia sotto il profilo della tutela dei diritti individuali e collettivi (si vedano i principi fondamentali e la Parte prima della Costituzione intitolata “diritti e doveri”) e sia con riguardo all’ordinamento della Repubblica, che è scrupolosamente improntato alla centralità del Parlamento, al pluralismo delle istituzioni e all’equilibrio tra i pubblici poteri. Non c’è spazio, nella Costituzione italiana, per il cesarismo o il Bonapartismo. L’uomo solo al comando, per ultimo, è stato introdotto in Italia dal fascismo, con i risultati che la storia ci ha fatto conoscere.

Sempre in merito al cesarismo, vorrei ricordare brevemente un passaggio di Constant in un suo saggio sulla “letteratura nei suoi rapporti con la libertà [4] nel quale, tra l’altro, si sofferma sull’adulazione degli intellettuali nei confronti di Cesare Augusto, e afferma che “uno dei crimini della tirannide è proprio quello di costringere il talento a degradarsi. Ma il sentimento della libertà esisteva in segreto ed era compresso, e costituiva la bellezza principale delle stesse opere che l’adulazione disonorava.”

L’argomento del cesarismo è di grande attualità se consideriamo che nel terzo millennio la stessa liberal-democrazia e il costituzionalismo moderno di ispirazione liberale, sono sotto attacco da “scuole di pensiero” a favore del leaderismo rivolto ad insediare l’uomo solo al comando in tutti i luoghi della decisione politica.

Il rapporto tra governo e governati

La centralità dei diritti dell’individuo non mette, secondo Constant, in secondaria importanza le libertà politiche, cioè le libertà inerenti alla partecipazione alle decisioni politiche, che sono entrambe fondamentali per porre limiti e per fermare ogni forma di dispotismo.

Aggiungo, in proposito, che non bisogna mai dimenticare che il liberalismo è, per sua natura, soprattutto “limite” ai poteri dei governi nell’eterno difficile e tortuoso rapporto tra governati e governanti.

Constant insiste molto nell’affermare che il godimento dei diritti individuali è garantito dalla libertà della partecipazione politica.

Parla di “garanzie” per ottenere godimenti delle due libertà, godimenti che non possono essere separati.

Nella parte conclusiva del suo discorso afferma che sarebbe una “follia” rinunciare alla libertà politica.

L’analisi di Constant comprende temi riguardanti non solo la libertà individuale e quella politica.

Molto significativi sono i temi riguardanti la libertà economica e in particolare la libertà del commercio; la rilevanza del fenomeno della schiavitù; la libertà sociale; l’oligarchia, che “è la stessa in ogni epoca”; le questioni relative ai “privilegi assai insolenti e oppressivi”; “le deboli vestigia del sistema rappresentativo”; la guerra e il modo come essa è generata; finanche, la ricerca della felicità. Per quest’ultimo aspetto, sia pure nella diversità dei contesti storici, Constant usa lo stesso linguaggio di Jefferson.

Per fare un solo esempio, mi limito a fare un cenno alla questione economica che dimostra quanta sia illuminata e di autentico stampo liberale la sua visione politica: “Ogni qual volta i governi pretendono di gestire i nostri affari lo fanno peggio e con più dispendio di noi.”

Molto importanti le considerazioni, anche critiche, che Constant fa sulle tesi sostenute da Montesquieu e da Rousseau. D’altronde, la preoccupazione di Constant è sempre quella di inibire ogni forma di dispotismo.

La partecipazione

Particolarmente significativa la sua attenzione ai pericoli incombenti sulla libertà:

“Il rischio della libertà moderna è che, assorbiti nel godimento dell’indipendenza privata e nel perseguimento dei nostri interessi particolari, rinunciamo con troppa facilità al nostro diritto di partecipazione al potere politico.

I depositari dell’autorità non mancano di esortarci a far ciò. [5]

Altro che esortarci. Ai nostri tempi i decisori politici usano metodi raffinatissimi, populismo e plebiscitarismo compresi, per allontanare i cittadini dalla effettiva partecipazione politica, che non può consistere in una partecipazione al voto una volta ogni cinque anni, bensì in una pluralità di interventi e di istituzioni preposti a limitare e controllare l’uso del potere governativo.

Constant auspicava la “partecipazione attiva e costante al potere collettivo.”

In proposito vorrei sottolineare quanta contemporaneità c’è nel linguaggio di Constant nell’uso della locuzione “partecipazione attiva”. Basta leggere i documenti politico-sociali dei nostri tempi, e soprattutto i documenti dell’Ue, per ritrovare frequentemente la locuzione “cittadinanza attiva”. Aggiungo che solamente negli anni ’90 del secolo scorso, con la Legge ordinaria n. 241 del 1990, è stata introdotta in Italia la normativa sulla trasparenza e sull’accesso agli atti della Pubblica Amministrazione. Una Legge di vera e significativa innovazione che, però, ha fatto registrare via via un affievolimento della sua portata innovativa. Ricordo personalmente, all’entrata in vigore della legge 241/1990, lo “smarrimento” dei comportamenti adusi allo strapotere nell’esercizio della discrezionalità amministrativa.

Ma la trasparenza introdotta negli anni ’90 ha avuto breve durata. C’è stato via via una produzione legislativa ordinaria e regolamentare rivolta a mettere “freni” alla trasparenza. L’affievolimento dei diritti alla trasparenza e all’accesso agli atti alimenta i conflitti di interessi e la concezione “proprietaria” della cosa pubblica da parte di quei decisori politici che, a dir poco, considerano di scarso pregio i principi del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione).

Il metodo democratico come libertà politica

Si afferma spesso che il liberalismo sia un metodo e non un’ideologia, come quelle che sono state protagoniste nel secolo scorso.

Il metodo è quello di garantire la libertà degli individui e della collettività attraverso la effettiva partecipazione politica.

Quanto a partecipazione alla decisione politica, non possiamo non considerare che la Costituzione italiana prevede, all’art. 49, un ruolo importantissimo dei cittadini liberamente associabili in partiti politici.

La formula usata dai nostri Padri e dalle nostre Madri Costituenti fa riferimento espressamente al “metodo democratico”:

“Tutti cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere col metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Sia ben chiaro: il “metodo democratico” comporta che il ruolo partecipativo è dei cittadini, non dei partiti in quanto tali.

Questa distinzione è da tenere presente perché la norma non è stata attuata e, di contro, la stessa norma viene sistematicamente tradita allorquando nascono e sono vivi e vegeti, nella scena politica, partiti personali che, per loro natura e per metodo decisionale, nulla hanno a che fare col metodo democratico.

La mancata attuazione dell’art. 49, alimentata dalla presenza di partiti personali, ci fa notare che siamo in presenza di una sostanziale carenza di libertà politica e ci fa ricordare quanto affermato da Constant:

“La libertà politica è il mezzo più possente e il più energico di perfezionamento che il Cielo ci abbia dato.”

Fondamentale istituzione della partecipazione politica e della “rappresentanza” politica è il Parlamento dove, per usare un vecchio adagio di Einaudi, si conosce, si discute e si decide.

Conoscere, discutere e deliberare sono tre verbi non declinati dalla scuola di pensiero che rivendica il “decisionismo” da affidare all’uomo solo al comando.

Non è un caso che sempre, nelle diverse epoche storiche, quando si affacciano nella scena politica derive autoritarie e dispotismi, i parlamenti siano puntualmente oggetto di attacchi e siano ridotti a bivacchi per i manipoli del duce di turno.

Tre parole chiave: Italia, libertà e Parlamento

Senza entrare nel merito sul perché e sul percome in Italia in questi anni vadano a votare meno della metà degli aventi diritto, c’è da aggiungere che il nostro Paese ha il triste primato, in materia elettorale, di leggi illiberali e finanche incostituzionali.

Vorrei concludere queste mie riflessioni con un invito. Un invito a leggere il discorso di Constant, che è di poche pagine e, subito dopo, di sfogliare la Costituzione italiana.

Ci si rende conto come molti dei ragionamenti di Constant siano presenti sotto forma di normativa costituzionale. E si possono fare considerazioni storiche significative. Basta farne una veloce lettura.

Sono tre le parole chiave che vorrei porre in evidenza: Italia, libertà e Parlamento.

La prima parola della Costituzione, che è anche la prima dei 12 Principi Fondamentali è l’Italia (l’Italia è una Repubblica democratica etc.).

Una nota storica: alla data del discorso di Constant l’Italia ancora non c’era: c’erano tanti piccoli staterelli che la cultura politica di stampo liberale ha portato all’unificazione del Paese. Un’altra nota storica: il liberale Cavour, uno degli artefici dell’unità del Paese, aveva in grande considerazione le idee di Constant.

La prima parola della Parte Prima della Costituzione è la parola libertà (La libertà personale è inviolabile). E nella parte prima della Costituzione, anche con riferimento ai principi fondamentali, la libertà è declinata in tutti gli aspetti presenti nelle indicazioni di Constant.

La Parte prima è intitolata “Diritti e doveri dei cittadini”. L’intera Parte prima è suddivisa in quattro Titoli: I Rapporti civili; II Rapporti etico-sociali; III Rapporti economici; IV Rapporti politici.

Sono tutti “rapporti” i diritti e i doveri. Sono “rapporti” che identificano l’essenza della libertà. Della nostra libertà scritta e spiegata nella nostra Costituzione repubblicana. Perché la libertà ha a che fare con le relazioni umane. Un uomo solo in un’isola deserta non avrebbe di che domandarsi su cosa possa essere la stessa parola libertà. Le questioni sulla libertà si pongono all’interno dei rapporti fra più individui e fra l’individuo e la società.

La prima parola della Parte Seconda è Parlamento.

La Parte Seconda è intitolata “Ordinamento della Repubblica”. I sei titoli della Parte Seconda, cioè dell’ordinamento, sono, nell’ordine:

Titolo I: Il Parlamento (Organo collegiale dove si conosce, si discute e si decide. Uso i famosi tre verbi (conoscere, discutere e deliberare) cari al liberale Luigi Einaudi, il primo Presidente della Repubblica eletto a Costituzione vigente);

Titolo II: Il Presidente della Repubblica (organo individuale che rappresenta l’unità nazionale e non una parte maggioritaria o minoritaria del Paese e che è dotato di particolari poteri. Einaudi è stato consegnato alla Storia come autorevole “custode della Costituzione”);

Titolo III: Il Governo; Titolo IV: La Magistratura. Titolo V: Le Regioni, le Province, i Comuni, Titolo VI, Garanzie Costituzionali.

Conclusione

Questa semplice e sintetica rassegna delle istituzioni repubblicane, ci dimostra la natura della pluralità degli organi costituzionali italiani, una pluralità improntata al principio, ben definito da Montesquieu, dell’equilibrio fra i diversi poteri. L’equilibrio dei poteri è finalizzato ad assicurare un effettivo godimento della libertà. E la libertà è da declinare al plurale, cioè le libertà, come ci ha insegnato Benedetto Croce, il grande liberale che, tra l’altro, è stato uno dei nostri autorevoli Padri costituenti.

Concludo ponendo in evidenza che la Costituzione italiana è pregna di principi e di valori che sono il portato culturale dell’incontro di sintesi di tre culture: quella cattolica, quella socialista e quella liberale.

Antonio Pileggi


[1] Benjamin Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, a cura di Luca Arnaudo, Liberilibri, 2001,2020, di AMA srl – Macerata. Tutte le citazioni di B. Constant di questo saggio sono riprese da questo libro.

[2] Benjamin Constant, op. cit.

[3] Benjamin Constant, Nota sulla sovranità del popolo e i suoi limiti, pag. 37 e segg., op. cit.

[4] Benjamin Constant, La letteratura nei suoi rapporti con la libertà, pag. 55 e segg., op. cit.

[5] Benjamin Constant, op. cit.