Crisi Pandemica in Italia e Spagna e crisi dei sistemi delle autonomie regionali

di Juan M. de Lara Vázquez

Pubblichiamo l’estratto della TESI premiata nella Scuola di Liberalismo diretta da Enrico Morbelli.

Sistemi regionali a confronto nella gestione della crisi pandemica: le Comunidades Autónomas spagnole come modello di riforma delle regioni italiane?

1. Introduzione

Come oramai risaputo il 30 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiarò l’emergenza pandemica. Da diverse settimane prima i media avevano iniziato a comunicare la veloce propagazione di questo virus ancora poco conosciuto. Analogamente a quel che avvenne in altri paesi, Italia e Spagna si sono fatte prendere alla sprovvista e da allora sono successe un’infinita quantità di misure, spesso in contrasto tra di loro e con quelle immediatamente precedenti. Le amministrazioni di ogni livello si trovarono a dover fare fronte a questa nuova situazione di emergenza che aveva colto impreparati tutti. Dopo più di un anno inizia ad essere imperativo fare una riflessione critica che ripercorra i diversi errori commessi in questo periodo, e che si interroghi riguardo all’eventuale necessità di rivedere il titolo V della Costituzione italiana. Il funzionamento, o il non funzionamento, del coordinamento del potere centrale con le sue estensioni locali e regionali nelle diverse fasi della crisi, potrà servire per cogliere le criticità del sistema così come inteso e riformato dal legislatore nei decenni precedenti. In questo studio ci si chiede se il sistema delle regioni abbia retto alla prova della lotta alla pandemia e quali eventuali sistemi possono essere presi a modello per delle eventuali riforme. Inizialmente, si vedrà in che modo è stato strutturato il meccanismo di emergenza nell’ordinamento spagnolo e alcuni casi emblematici nella storia del paese iberico prima del Covid-19. Successivamente si ripercorreranno le misure adottate e si vedrà in che modo ha funzionato il sistema delle Comunidades autónomas per fare fronte alla crisi pandemica. Lo studio del sistema delle fonti e l’analisi delle risposte adottate dall’ordinamento per fare fronte alla crisi pandemica da SARS-CoV-2 sarà chiarificatore in tal senso. Infine, si darà una valutazione della riuscita o meno del sistema regionale e si considererà se questo potrebbe essere preso come modello per l’Italia.

2. Il sistema delle fonti in Italia e Spagna e i meccanismi di eccezione di entrambi gli ordinamenti

La Repubblica italiana si proclama, nei suoi “Principi fondamentali”, quale una e indivisibile. Nel contempo riconosce le autonomie locali. In ottemperanza a ciò si ha la sua attuazione nel Titolo V della carta costituzionale modificato nel 2001. La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni in diversa misura a seconda della materia in questione. Analogamente accade lo stesso nella Costituzione spagnola dove, all’art. 2, si riconoscono l’autonomia delle nazionalità e delle regioni che integrano la nazione spagnola. È nel terzo capitolo del Titolo VIII della Costituzione spagnola che si ha l’attuazione del principio riconosciuto nell’art. 2.

Il 31 gennaio 2020 con una delibera del CdM si è dichiarato lo stato di emergenza in Italia. La gestione della stessa «ha seguito sia una linea verticale, riguardando Stato, regioni e comuni, che una orizzontale, chiamando in causa istituzioni politiche, sanitarie e protezione civile. Il tutto reso ancora più complesso dall’accentuata autonomia concessa alle regioni con la riforma costituzionale del 2001, che ha favorito l’affermarsi di strategie e politiche differenti». Una prima differenza chiara tra i due ordinamenti è l’assenza in Costituzione nel caso italiano, di una esplicita previsione dello “stato di eccezione”, a differenza del caso spagnolo dove è prevista nell’art. 116 della Costituzione. Solo l’art. 78 della Cost. italiana prevede in caso di guerra un meccanismo di eccezione. L’ordinamento spagnolo nell’articolo 116 citato precedentemente prevede tre casi di emergenza: lo stato di allarme, lo stato di eccezione e lo stato di assedio. Sin dalla promulgazione della Costituzione del 1978 è stato utilizzato soltanto il primo di essi. Una seconda differenza è la legge organica 4 del 198, che si occupa di regolamentare ognuna delle emergenze previste nell’art. 116 e le misure o restrizioni che devono essere stabilite nelle diverse fattispecie.

La pandemia non ha conosciuto confini nei casi dei due paesi qui confrontati. Le frontiere regionali hanno messo ulteriormente in evidenza le differenze che sussistono in ambito sanitario. Una delle critiche più ricorrenti nel sistema regionale italiano è quella di creare differenze tra i residenti delle diverse regioni. Il problema di fondo nel caso spagnolo è lo stesso, la diversa gestione regionale ha creato profonde diseguaglianze tra i cittadini a seconda della regione di appartenenza. La mancata attuazione di un sistema sanitario omogeneo ed efficiente in tutto il territorio nazionale, a beneficio di tutti gli abitanti della Spagna, ha comportato un impatto diverso da parte della pandemia. In entrambi i casi sembra necessario rivedere il riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Per quel che riguarda l’equilibrio tra diritti e libertà individuali, il caso spagnolo ha evidenziato una tendenza da parte delle Comunidades Autónomas a gareggiare per essere il più “totalitario” possibile. Lo stesso “distanziamento” tra Governo italiano e Presidenti di regione si è visto in Spagna a causa dei provvedimenti adottati o da adottare. I contrasti si sono manifestati nella costante sovrapposizione di decreti e ordinanze di difficile interpretazione non solo da parte di entrambe le cittadinanze. Come ha affermato il Presidente di Sezione della Corte dei Conti, Michele Oricchio:

«Non può dunque non convenirsi sull’improcrastinabile esigenza di una profonda riflessione sull’assetto istituzionale della Repubblica specie con riferimento al ruolo assunto delle regioni – a cinquanta anni dall’istituzione di quelle a “statuto ordinario”- cioè su come oggi funziona l’Italia anche in piena emergenza coronavirus con tutti i particolarismi che obiettivamente rendono più difficile una strategia unitaria, sia sanitaria che economica […] Non bisogna dimenticare, infatti, come, le riforme degli anni Novanta, culminate nel 2001 con la mai sufficientemente deplorata riforma del Titolo V della Costituzione, abbiano accentuato il “localismo” consentendo la moltiplicazione del centri decisionali e di spesa e disperdendo così la dimensione nazionale ed unitaria della pubblica amministrazione e dell’interesse pubblico.

La devoluzione di troppe competenze alle regioni ed agli enti locali (che sin dai primi esperimenti non aveva dato buona prova di sé: vedasi la gestione dell’urbanistica) ha quindi frammentato lo Stato, che ha persi il suo ruolo centrale di promotore del benessere della comunità nazionale, alimentando peraltro una intrinseca inconcludenza decisionale nella definizione delle politiche pubbliche e, quindi, nell’azione amministrativa».

Il sistema spagnolo delle autonomie non solo non può servire come modello per le riforme italiane, ma dovrebbe essere riformato a sua volta strutturalmente. Gli errori commessi dall’Italia in poco più di settanta anni sono stati abbondantemente superati dai quarantadue anni di Monarchia parlamentare spagnola. Entrambe hanno voluto impostare un complesso sistema di pesi, contrappesi e controlli in chiave pseudo-federalista, che ha solo ottenuto come risultato l’appesantimento della macchina amministrativa, e nel caso spagnolo, ha alimentato e solidificato le derive separatiste dei nazionalismi regionali. La gravità del caso spagnolo è stata causata dalla volontà dei costituenti della Transición di inserire il concetto di nazionalità per fare riferimento alle regioni storiche spagnole che più “noia” avevano dato al processo secolare di unificazione. Nell’art. 3 della Costituzione spagnola si fa riferimento a un’ideale coesistenza armonica delle «nazionalità e le regioni» nel seno dell’«unità della Nazione spagnola», che riconosce e garantisce la loro esistenza. Questa costituzionalizzazione di due concetti di nazionalità ha piantato il seme delle criticità alle quali assistiamo attualmente, criticità che non faranno altro se non aumentare. Oggigiorno, i cittadini e abitanti di entrambi gli Stati si trovano davanti a due giganteschi Behemot impossibilitati da loro stessi a reagire alle sfide politiche e sociali che si presentano e si susseguono. Le forze politiche di ogni livello dovranno nei prossimi anni disegnare un piano politico di riforma che risolva, in primo luogo, la disaffezione verso i processi elettorali, e successivamente che metta ordine a questo farraginoso meccanismo istituzionale di decisione, eliminando le diseguaglianze fra gli abitanti dei diversi enti locali e che renda agili i processi decisionali.

Juan M. de Lara Vázquez

NOTA BIOGRAFICA

Juan M. de Lara Vázquez è uno studioso spagnolo nato a Siviglia nel 1991 e cresciuto a Roma. Ha svolto il suo percorso universitario presso l’Università di Roma “La Sapienza”, laureandosi in Relazioni Internazionali con una tesi che studia le origini del catalanismo. Attualmente sta portando avanti il Dottorato di Ricerca in Scienze Politiche nell’Università di Catania con una tesi in storia contemporanea volta ad analizzare le relazioni internazionali fra Spagna, Italia e Santa Sede durante il secondo dopoguerra. In questo lavoro per la Scuola di Liberalismo si è occupato di uno dei suoi principali filoni di ricerca: le relazioni centro-periferia, focalizzandosi nei risultati ottenutisi durante la gestione dell’emergenza pandemica.